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Ti posso spiegare – TEATRO 7

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Di Simona Rubeis

Si sa, la donna è una portatrice sana di curiosità. Ragion per cui, l’assillante Roberta è più che giustificata nell’assumere un tono inquisitorio per indagare, scavare e scoprire se, dove, come, quando e con chi il suo brioso partner la tradisca.

Ma poiché “la gelosia è una abbaiar di cani che porta i ladri”, Paolo si sente autorizzato a dribblare quelle incessanti raffiche di domande sconclusionate che, inevitabilmente, finiscono per sfiancarlo.

Tra equivoci, battibecchi ed approcci maldestri si snocciola «Ti posso spiegare», commedia scritta dall’affiatato duo La Ginestra–Bennicelli e diretta con sapiente elasticità da Roberto Marafante, che restituisce al gioco teatrale un perfetto equilibrio comico.

Ad anni di distanza dal primo allestimento, e con un cast in parte rinnovato, lo spettacolo torna sulle tavole del Teatro 7 proponendo al suo affezionatissimo pubblico un testo che saltella fra il divertimento puro, l’umorismo fine e l’intelligente ricerca di un significato più profondo che, chi vuole, può provare ad approfondire. Non è necessario farlo, il lavoro è fruibile così com’è. In fondo si parla di legami affettivi, ed è impossibile non immedesimarsi.

Ma come sempre accade, i livelli di lettura sono vari e possono adagiarsi sia su piani paralleli che su traiettorie destinate ad incrociarsi, permettendo pertanto allo spettatore di scegliere quale direzione seguire.

L’allestimento è ben strutturato. Al centro del palco c’è un letto matrimoniale, perno attorno a cui si muovono i tre protagonisti: lei, lui e la presunta amante. La dinamica, va da sé, è quella della coppia collaudata dove ciascuno riveste il ruolo che il trascorrere degli anni, fra piccoli strappi e bonarie riconciliazioni, gli ha disegnato sulle forme.

In tale contesto, ecco allora che anche la più logora e usurata delle frasi “cara…ti posso spiegare”, mantiene la sua attualità.

La situazione però è un po’ più complicata di come si potrebbe pensare, nasce anomala e prospera in un processo di fermentazione di paradossi. Paolo è un fotografo cinquantenne (Michele La Ginestra), in pieno tentativo di rilancio della propria carriera artistica, che al risveglio trova al suo fianco una donna di incredibile fascino (Manuela Zero). E fin qui, tutto potrebbe tornare. Peccato però che il letto in questione sia quello della casa che condivide con Roberta (Beatrice Fazi) e che lui non ricordi assolutamente niente: la memoria non lo supporta nella ricerca volta a capire quale sia il nome di quella bellezza, da dove provenga e di come sia finita lì.

Se da un lato è attratto da tanta grazia, dall’altro teme di essere finito nel tranello del tradimento.

Ma è davvero così? Tutto porta a crederlo, ma Paolo non ne è certo, perché non rammenta nulla e la ragazza non lo aiuta a ricostruire. Lei, con il suo italiano smozzicato, flirta, civetta e bamboleggia con l’artista conosciuto una manciata di ore prima, mettendolo ancora di più in difficoltà.

Pur temendone la reazione, Paolo si chiede dove sia finita la moglie alla quale, peraltro, dovrà imbastire una storia per giustificare l’inconsueta presenza. In fondo, fra screzi e malintesi, domande a trabocchetto e luoghi comuni, tentativi di possesso che rischiano di scivolare nell’ossessione, la loro è una relazione che viaggia lungo binari dritti.

Il ritmo è perfetto, il linguaggio è veloce e dinamico, lo scambio dialettico procede spedito in un crescendo di battute mai scontate. Michele La Ginestra si muove con una flessuosità mimica di grande impatto umoristico trasportando la platea da un’ambientazione all’altra in un susseguirsi di cambi di spazio e di tempo con grazia e scioltezza. Il successo di questa pièce che, sera dopo sera, registra il tutto esaurito è frutto anche della sintonia con Beatrice Fazi, in parte nei panni della sposa afflitta dal fantasma dell’infedeltà. I dialoghi che lei intavola con personaggi solo immaginati sono calibrati al punto tale da avere la percezione che siano concreti e reali.

Brava anche Manuela Zero che, con leggiadria interpreta, il personaggio dell’avvenente stanga-francese-tacco-dodici, un po’ svampita e un po’ seduttrice.

Ma ecco, dunque, che anche in questa commedia dai toni leggeri, all’insegna del divertimento e della risata più pura, viene inserito il messaggio da portarsi dietro per rileggerselo con calma, magari a casa nel momento del silenzio e della tranquillità. La noia, la pressione, la stanchezza possono creare i presupposti per il diversivo, per la fuga in avanti, nella speranza di trovare ciò che non si ha fra le pareti domestiche. A quel punto ci si trova ad un bivio, ed i panorami all’orizzonte sono diversi: nel primo si getta il cuore oltre l’ostacolo, si fa un salto nel buio, e si riscopre una nuova giovinezza, soprattutto se la nuova compagnia ha qualche anno di meno e porta con sé la ventata di freschezza; nel secondo si rimane dove si sta, riconoscendo nell’altro le proprie debolezze, seppure in un incessante incontro-scontro che però è pur sempre supportato dalla premura, dal rispetto e dalla complicità.

Con spirito non pretenzioso ed una simpatica forma di indulgenza, la tematica viene lanciata lì, nell’ambito di una divertente sinfonia sentimentale dove sospetti, trovate e imprevisti dominano la scena.